Farmaci nell’ambiente

Qualche anno fa fece scalpore 12 anni fa la scoperta che nel pesce pescato a valle di un impianto di depurazione delle acque della città di Chicago si trovavano farmaci prescritti dal medico usati per trattare la depressione, l’ipertensione, le convulsioni e altri disturbi. I risultati della ricerca vennero divulgati in tutto il mondo da National Geographic con una intera pagina dedicata all’immagine di un pesce composto da farmaci che è diventata il simbolo di alcune delle conseguenze indesiderate delle nostre vite “medicate”.

In Italia la presenza di residui di farmaci nelle acque dei fiumi era stata già evidenziata alcuni anni prima da numerose ricerche condotte dal gruppo diretto dal Professor Ettore Zuccato (Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri). Più recentemente lo stesso gruppo di ricercatori ha evidenziato che anche nelle acque potabili della città di Milano sono presenti tracce di numerosi farmaci di uso comune, senza contare la cocaina e altre droghe rilevate nelle acque dei fiumi.

 

I farmaci, seppur molto utili e talvolta indispensabili per sopravvivere, sono perciò diventati motivo di preoccupazione in tutto il mondo come contaminanti “emergenti” dell’ambiente.

Residui di vari tipi di farmaci come ormoni, antitumorali, antidepressivi, antibiotici, ecc. sono stati ritrovati nelle acque superficiali, in quelle sotterranee, nell’acqua potabile, nel suolo, nell’aria e nella fauna selvatica in tutto il mondo.

Le quantità dei singoli farmaci sono minime, si stima meno della metà di un cucchiaino in una piscina olimpionica, ma la loro diffusione ambientale è planetaria, gli animali e le persone sono esposte per tempi lunghi a molte miscele di queste sostanze.

Tutto ciò fa temere che anche a concentrazioni minime, nelle acque si riscontrano livelli di nanogrammi (la miliardesima parte del grammo) o microgrammi (la milionesima parte del grammo) per litro, i farmaci e i loro residui possano costituire un rischio per la salute dell’uomo. Anche perché sono già noti effetti negativi anche importanti sugli animali.

 

Come arrivano i farmaci nell’acqua e nei terreni?

Non è facile definire precisamente quale sia la fonte principale di inquinamento. È sicuro però che tutti, come consumatori, contribuiamo in maniera importante.

La maggior parte dei farmaci che consumiamo vengono eliminati tramite le urine, le feci o il sudore, e quindi finiscono nelle acque di scarico (acque reflue).

Tanti farmaci vengono applicati come creme, lozioni, cerotti medicati e la quota che non viene assorbita dalla pelle, viene eliminata durante la doccia o il bagno.

Una parte dei farmaci inutilizzati e scaduti che riempiono il tipico armadietto dei medicinali presente in ogni casa italiana, non viene smaltita in maniera corretta. Anche gli ospedali o le case di cura private possono rappresentare una fonte di inquinamento, infatti, sono strutture in cui vengono utilizzati molti farmaci e spesso i sistemi di depurazione delle acque di scarico non sono adeguati a filtrare queste sostanze.

Le aziende farmaceutiche sono una fonte importante di inquinamento come pure i grandi allevamenti di animali o pesci, in cui gli antibiotici vengono somministrati agli animali per curare le malattie infettive, ma anche come “fattori di crescita”. Inevitabilmente, una parte importante di essi si riversa nel terreno e penetra nelle acque sotterranee o entra nei corsi d’acqua.

 

Gli effetti

farmaci sono stati progettati per essere biologicamente attivi (cioè per provocare effetti sulle cellule dell’organismo) anche a basse concentrazioni, per durare a lungo e molto spesso non sono biodegradabili (cioè non si degradano velocemente nell’ambiente).

Perciò tendono a persistere nell’ambiente e ad accumularsi (bioaccumulo) nel biota, cioè nell’insieme dei diversi organismi animali o vegetali, che vivono in un ecosistema. Ricerche recenti hanno evidenziato che i farmaci si accumulano negli invertebrati acquatici, che sono poi ingeriti dai pesci, che a loro volta possono essere mangiati dagli uomini. Questo fenomeno, detto di “biomagnificazione”, contamina la catena alimentare.

Non è facile studiare cosa possono causare minime quantità di farmaci sull’organismo umano. Gli effetti cronici (dovuti all’esposizione per lungo tempo) potrebbero essere dovuti ad alterazioni minime non facili da identificare per tempo. Quando, dopo molti anni, il danno si rende evidente, non sempre è possibile capire se esiste una correlazione tra l’esposizione alla sostanza farmacologica e il disturbo da cui è affetto una persona.

Preoccupa l’effetto cumulativo di quantità anche minime dei prodotti farmaceutici nell’acqua potabile in particolare nelle fasce di popolazioni più vulnerabili (bambini, donne incinte, persone con disabilità, etc.).

L’aspetto più temuto e di cui sono già evidenti gli effetti, è l’esposizione ambientale indiretta agli antibiotici che può creare batteri resistenti agli antibiotici e quindi esporre gli esseri umani al rischio di infezioni da batteri non curabili.

In contrasto con l’incertezza sugli effetti sulla salute umana, ci sono molte prove che i prodotti farmaceutici nell’acqua influenzano la vita acquatica e non solo!

Molti studi riportano effetti evidenti e significativi dovuti alla contaminazione delle acque e dell’ambiente da farmaci, come ad esempio la femminilizzazione dei pesci e la sterilità delle rane a causa di residui della pillola contraccettiva. Gli studi sui pesci a monte e a valle degli impianti di trattamento delle acque reflue hanno trovato più pesci femminili e intersessuali a valle degli impianti.

In Pakistan, il Diclofenac (potente antinfiammatorio) ha causato la morte di molte migliaia di avvoltoi che si nutrono di carcasse contaminate da questo farmaco. Sempre il Diclofenac alle concentrazioni che si trovano in acqua dolce, provoca anche lesioni nei reni e nelle branchie delle trote.

La Sulfadiazina, un antimicrobico usato negli allevamenti di maiali, causa resistenza agli antibiotici nei batteri del suolo.

E questi sono solo alcuni esempi dei vari effetti descritti in tanti studi.

Come possiamo contribuire a limitare il problema

Le aziende dovrebbero produrre farmaci maggiormente biodegradabili e limitare la loro quota di inquinamento.

Ospedali e case di cura dovrebbero contenere il più possibile la loro quota di inquinamento. Servono sistemi di depurazione delle acque reflue più efficienti.

Senza nulla togliere alle effettive necessità di cura di un paziente, i medici devono riflettere maggiormente sulla reale necessità di alcune loro prescrizioni, e i farmacisti sui consigli per i farmaci di automedicazione.

Cosa possono fare le persone comuni?

  • È meglio acquistare o farsi prescrivere solo i farmaci indispensabili per non accumulare farmaci in casa;
  • Completare sempre la terapia secondo le indicazioni ricevute;
  • Non gettare mai i farmaci avanzati nel lavandino o nel WC;
  • Conferire sempre i farmaci negli appositi contenitori per la raccolta dei farmaci scaduti presenti nelle farmacie o nei centri di raccolta comunali;
  • Differenziare in casa i vari materiali: tavolette, pillole, compresse, capsule che possono essere estratte dal blister (che va smaltito secondo le indicazioni dei vari sistemi di raccolta/riciclaggio); i flaconi dei medicinali liquidi, invece, si conferiscono tali e quali in farmacia; le confezioni di carta e cartone devono essere smaltite nella carta.

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